VERITA' E BELLEZZA

Vassoi ricolmi di dolci, cesti pieni di frutta, piatti infarciti di pietanze prelibate, il tutto annaffiato da vini pregiati e liquori raffinati, gente mascherata, risa gioviali... Non si tratta di un carnevalesco ballo in maschera, ma di Purim, che festeggiamo in questi giorni. Pur se la differenza tra il carattere delle varie festività ebraiche è sempre un elemento molto marcato, nel caso di Purim ciò diventa ancora più radicale. Nelle altre festività, il piacere e la felicità in esse presenti, sono di tipo soprattutto spirituale. E’ pur vero che ogni celebrazione festiva è accompagnata da pranzi speciali, tuttavia l’enfasi è sempre su qualche elemento di natura spirituale: a Pessach la liberazione dalla schiavitù e l’osservanza particolare della Kashrut; a Shavuot (festa delle Settimane) il dono e lo studio della Torà; a Sukkot (festa delle Capanne) le quattro speci e la bellezza della sukkà.

La diversità fondamentale di Purim consiste nel fatto che il culmine di tutta la giornata sta nel lauto banchetto del pomeriggio, uno dei quattro precetti basilari di questo giorno. Come è noto, durante il pranzo è d’uso fare largo consumo di bevande alcoliche, onde adempiere ad un precetto quanto mai strano, riportato dal Talmud: "la persona deve inebriarsi a Purim fino a che non sappia la differenza tra maledetto Haman e Benedetto Mordechai." Si noti bene, il Talmud non dice "ubriacarsi" (lehishtaker), bensì inebriarsi (lebsumei), quindi non ci viene certo richiesto di diventare pesanti e grossolani, volgari e intontiti, bensì di elevare lo spirito e di mostrare che esso è più forte perfino dell’alcool.

In poche parole, la differenza principale tra Purim e le altre feste, è che a Purim l’essenza stessa della gioia viene da elementi soprattutto materiali e fisici: cibo raffinato e abbondante, bevande stimolanti, giochi e scherzi, buona musica. Ciò ci porta ad una domanda di base: come può la materia essere fonte di vera felicità? Non è forse fondamentale nella Torà l’avvertimento di quanto ingannevoli ed effimeri possano essere i piaceri del corpo, e di come sia indispensabile controllarli e spiritualizzarli tramite l’osservanza delle Mitzvot? Eppure, guardando da vicino il problema, scopriamo che la materia e il mondo fisico hanno sempre due aspetti. Il primo è illusorio, separato, fine a se stesso. Il secondo è superiore, e in esso si rispecchia la stessa mano di D-o che ha creato la natura e le sue caratteristiche. In questo secondo aspetto la materia, e ciò che essa può offrire, diventa l’occasione per servire D-o con maggiore intensità, e le sue gioie diventano il sostegno e il recipiente capace di amplificare e rivelare piaceri spirituali, che altrimenti resterebbero troppo elevati e irraggiungibili.

In particolare, vorremmo occuparci qui dell’importanza della bellezza del corpo umano, motivo ricorrente nella storia di Purim. Ester, la principale protagonista del libro, diventa regina di Persia dopo un "concorso di bellezza", durante il quale lei piacque al re più di tute le altre giovani donne. In seguito, diventata regina, riuscì a salvare il popolo ebraico dai loschi complotti del malvagio Haman.

Oggi più che mai le donne e gli uomini cercano la bellezza fisica. Stando ai giornali, sono in crescita e in piena espansione tutte quelle attività commerciali legate alla bellezza del corpo femminile: cosmetica, chirurgia plastica, speciali attività fisiche, ecc. E il fenomeno non si limita alle sole donne, ma anche gli uomini dei paesi occidentali. Sono soprattutto le star dello spettacolo, i politici e i dirigenti a ricorrere sempre più sovente al "lifting", nella speranza che un miglior aspetto esteriore contribuisca alle loro fortune artistiche e sociali.

Domandiamoci quale sia il punto di vista della Torà nei confronti di tutto ciò. Sia ben chiaro che i valori della vita ebraica non rifuggono dalla bellezza del mondo, né quella del corpo. Essa è un dono di D-o, e come tale va apprezzata e goduta nei modi da Egli prescritti. Di parecchie delle grandi donne del popolo ebraico, è stata tramandata la memoria della loro bellezza eccezionale (Sara, Rachele, Ester).

Ma per capire di quale tipo di bellezza si tratta faremo ricorso ad un fenomeno numerologico (tratto cioè dalle ghematrie, si veda un articolo esplicativo sull’argomento). In ebraico, il valore della parola "Israel" (541) equivale esattamente alla somma della parola "Emet" 441 (Verità) e "Yofi" 100 (Bellezza). Dunque Israele è l’unione di Verità e Bellezza.

Le conseguenze di tale affermazione sono molteplici. Al livello intellettuale ciò ci dà una chiave per comprendere come gli insegnamenti dell’Ebraismo, specie nel loro aspetto mistico e cabalistico, siano in grado di riconciliare l’eterna diatriba tra etica ed estetica, che ha sovente segnato la storia della filosofia dei popoli. La bellezza può essere fonte di un piacere intenso ed inebriante, ma deve essere vera, cioè lecita. Contemporaneamente, non basta che un insegnamento sia vero: esso deve anche possedere delle qualità tali da renderlo attraente e grazioso, e quindi accettabile, agli occhi di coloro ai quali viene presentato.

Tornando alla bellezza, nella storia di Purim si parla sovente di cosmetici. Addirittura, le aspiranti regine vennero sottoposte a lunghi mesi di trattamenti con oli e profumi (Ester, cap. 2 vv. 12 e seg.). Un midrash narra invece che Ester rifiutò tutto ciò, e si presentò al re così com’era (acqua e sapone, si direbbe oggi). Pur non essendo ricoperta di belletti, né aiutata da busti che le modellassero artificiosamente il corpo, essa venne scelta e preferita a tutte le altre donne. Questo avvenne in virtù del fatto che la sua bellezza era vera, era spontanea, e corrispondeva a profonde qualità morali e interiori.

Chi invece si affida unicamente al trucco esterno, o addirittura ad operazioni chirurgiche, o all’effetto modellante di calze o vestiti, corre il rischio di vivere perennemente mascherato, ricoperto da una maschera grottesca che sicuramente va bene a Purim, per rendere l’atmosfera ancora più ilare e divertente, ma che non può certo venire portata tutto l’anno! Una tale bellezza, basata sulla falsità, non potrà affatto generare quel tipo di piacere duraturo e sincero, i cui effetti si fanno sentire anche sul piano spirituale, ma sarà ingannatrice e deviante, legando la persona alla superficialità del mondo, destinata prima o poi a venire spazzata via.
La vera bellezza, alla quale aspirare, in Cabalà si chiama anche "Tiferet", la sefirà dell'equilibrio tra tutte le varie qualità dell'anima, quella sefirà che ne è il loro riassunto e concentrato. Tiferet ha sede nel cuore, quindi è la sede dei migliori sentimenti che l'essere umano sia capace di provare.

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